Una delle prime grandi innovazioni del secondo dopoguerra è senza dubbio l’abbattimento delle frontiere. Il dibattito sul processo di globalizzazione e sulle conseguenze per l’individuo, costituisce ormai da qualche tempo una delle costanti della riflessione politico sociale, più importanti. La percezione di vivere su un “globo”, dotato di confini

fluidi e labili che costringono tendenzialmente tutti a prendere coscienza della possibilità, e a volte dell’inevitabilità, di entrare in contatto con realtà anche molto distanti dalla propria, costituisce uno dei tratti caratteristici della nostra contemporaneità. E la nostra professione? Qual è il ruolo e l’importanza del commercialista in tutto questo? La continua evoluzione del panorama economico aziendale, conseguente al fenomeno della globalizzazione, caratterizzata dalle innovazioni in materia societaria introdotte dal recepimento delle direttive comunitarie internazionali, dai continui provvedimenti legislativi soprattutto in materia fiscale e dai processi di internazionalizzazione necessari nel contesto economico globale, costituisce la ragione per cui negli ultimi anni si è assistito ad una crescita del  ruolo professionista come figura poliedrica. Sempre più  imprese hanno bisogno di un nuovo tipo di consulenza globale, non solo nei settori tradizionali, ma anche e soprattutto in quelli innovativi. Da qui nuovi ambiti di applicazione del commercialista, sempre meno “contabile” e sempre più “consulente”. Con la globalizzazione il Commercialista italiano diventa dunque commercialista europeo, è proprio in questo senso che la sua attività spazia dalla  revisione e certificazione dei bilanci delle imprese, alla consulenza finanziaria, a quella per acquisizioni, scorpori e fusioni, alla creazione di consorzi di qualità e gruppi aziendali. Mentre da un lato le competenze tecniche, le capacità e i capi di applicazione crescono, distingue il livello di preparazione dei nostri professionisti rispetto a quelli degli altri paesi europei, dall’altro nel nostro paese l’eccessiva burocratizzazione spesso rende poco agevole sia l’accesso alla professione in senso stretto sia l’accesso in ambiti di applicazione oltre frontiera.

Secondo l’OECD, un indicatore che individua il livello delle regolamentazioni al momento di accesso alla professione , in linea generale negli ultimi venti anni si è verificata una graduale diminuzione del livello di regolamentazione. L’Italia in questo contesto si posiziona in modo poco soddisfacente. Tenendo conto delle risultanze di questo indicatore,  infatti il nostro paese è al primo posto per il grado di regolamentazione del ruolo del commercialista. Tuttavia, a parere di chi scrive, questa maggiore regolamentazione non è giustificata solamente da una eccessiva burocratizzazione che caratterizza il nostro paese, ma anche da un progressivo aumento del numero dei campi di applicazione della professione. L’Italia primeggia in tal senso per il numero dei servizi riservati in via esclusiva, d’altro canto si rischia però di  creare una situazione di squilibrio rispetto agli altri professionisti europei. Studi, ricerche, letture, confermano l’esigenza di noi commercialisti la necessità di migliorare la regolamentazione italiana inserendola in un contesto europeo più omogeneo per quel che riguarda i periodi di studio e tirocinio, gli esami di abilitazione, le riserve dei servizi, la pubblicità e le tariffe professionali.

Globalizzazione? Deregulation? Quali risposte sul significato di queste parole? Nessuna, o forse l’invito a quella riflessione fisiologica chiamata a porsi come un “problema” ciò che a prima vista sembra essere un dato di fatto incontrovertibile, ovvero quella secondo cui oggi il commercialista è sempre meno italiano e sempre più europeo; da qui la necessità di rimettere in discussione i tradizionali strumenti contabili, fiscali, e giuridici  per valutarne l’applicabilità a una situazione che non era stata prevista all’epoca della loro elaborazione. Proprio questo è lo scopo della commissione  istituita nel 2007 dall’Associazione italiana Dottori Commercialisti “Commissione per l’esame della compatibilità di leggi e prassi tributarie italiane con il diritto dell’Unione Europea” con  la finalità di esaminare eventuali situazioni di conflitto tra le disposizioni di legge e di prassi nazionali con i precetti comunitari in campo fiscale, e di trasmettere  poi  alla commissione Europea di Bruxelles i relativi elaborati scritti dimostrativi dei riscontrati contrasti con il diritto comunitario affinché, se condivisi, essa possa intervenire presso lo Stato italiano. Di conseguenza, il concetto da porre in discussione è proprio quello di “regolamentazione” interna in ottica europea, processo che non può essere dato per scontato, né tantomeno assumere caratteri di ovvietà bensì  scaturire dall’analisi dei concreti processi in atto a carattere politico-istituzionale, tutto ciò ha bisogno di un suggeritore: il commercialista, che  passando da attore a regista, costituirebbe un valido supporto per l’armonizzazione normativa atta al conseguimento di detto obiettivo.

Non abbiamo cortei di commercialisti che scendono in piazza chiedendo di regolamentare di più la professione “oltre frontiera”. Essi sanno, anzi “noi” sappiamo che compete alla classe politica e allo Stato definire una cornice in cui sia possibile la creazione di un sistema di regolamentazione europeo e internazionale. A parere di chi scrive le normative attuali sono ferme alla metà del guado, lasciando in essere tante, troppe “pozzanghere” nel cammino verso la figura del commercialista italiano come commercialista europeo e allora? Qual è la soluzione? NO al “presentismo”, cioè mero passivo ancoraggio al presente, e NO alla “divisività” cioè quella ricerca assoluta di ciò che divide e mai di ciò che unisce, SI  al nuovo ruolo del professionista:  il Commercialista europeo. Nell’antica Grecia l’idea era il disegno della mente, nel terzo millennio le idee dovrebbero accadere.

Pamela Profeta

Commissione giovani e Professione